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LE ORIGINI DELLO YOGA
Un famoso sigillo della Civiltà della Valle dell'Indo
di Stefano Piano


Yoga" è una parola nella quale mirabilmente si compendiano lo strumento e il fine di una ricerca spirituale: essa infatti significa "disciplina e soggiogamento del corpo e della mente" e, nel medesimo tempo, "unione" con il supremo Signore.
Costruito sulla cosmologia del Samkhya-darshana, lo Yoga è anche una particolare "visione" del mondo, della natura, di Dio e della persona
sigillo n. 420 di Mohenjo Darò. umana.

La sua codificazione classica, contenuta negli Yoga-sutra di Patanjali, risale forse ai primi secoli della nostra era, ma le sue origini si perdono nel passato più lontano.

La "dottrina dello Yoga" (yoga-shastra) è stata infatti fissata dopo un'elaborazione millenaria, che ha accompagnato la trasmissione di un insieme di ben precise tecniche di controllo psico-fisico; tali tecniche dovettero essere praticate in India ben prima dell'arrivo delle popolazioni nordiche, i "nobili" (arya), che portarono in quelle regioni una lingua indo-europea (il vedico, da cui si è originato il sanscrito classico) e la cultura dei brahmani.
Le ipotesi di un'origine pre-aria delle tecniche e delle dottrine che vanno sotto il nome di yoga ruotano attorno a un discusso reperto archeologico: si tratta di un "sigillo"1 rinvenuto negli scavi di Mohenjo Darò (oggi in Pakistan), uno dei siti principali della Civiltà della valle dell'Indo (III millennio a.C.), da John Henry Mackay.
Tale sigillo, che, nella numerazione data dallo stesso Mackay, reca il numero 420, rappresenta una figura umana forse tricefala, e fors'anche dal volto ferino, in posizione assisa su uno sgabello "né troppo alto né troppo basso" (Bha-gavad-gita 6,11c), la testa ornata da un copricapo con due corna; la figura, itifallica, è circondata da animali, e precisamente un elefante, una tigre, un bufalo, un rinoceronte e un'antilope, ed è assisa in una postura yoga che è stata diversamente definita e che mi sembra simile a quella "classica" di Goraksha (goraksha-asana) o alla sua fase iniziale o preparatoria (bhadra-asana), una posizione non a caso collegata, specialmente in una sua variante, al controllo dell'energia sessuale.
Sir John Marshall, che fu uno dei primi a studiare questo reperto, ravvisò nella figura un prototipo preistorico di Shiva, fondando la sua ipotesi su due epiteti di questo Dio che lo descrivono come "signore degli yogin" (Yogindra, Yogishvara) e "signore degli animali" (Pashupati).
Anche il possibile tricefalismo, che si ritrova nell'iconografia "classica" di Shiva Mahadeva, e il fallo in erezione(urdhvalinga, urdhvamedhra, urdhva-retas) - che, però, secondo Marshall, potrebbe anche essere semplicemente la parte finale della cintura - ben si accordano con la mitologia di Shiva, l'"asceta erotico", adorato sotto forma di Unga; come fa notare Ama-lananda Ghosh, la figura itifallica non può non farci pensare ai due passi del Rig-veda nei quali i nemici degli Arya sono chiamati shishnadeva, ovvero "aventi come divinità il fallo".
L'identificazione della figura con una sorta di proto-Shiva, tuttavia, non è del tutto sicura.
Come ammise già lo stesso Marshall, si possono sollevare delle obiezioni: per esempio, l'appellativo di Pashupati allude agli animali domestici, mentre gli ammali raffigurati sul sigillo sono selvaggi.
Questo e altri dubbi, che certamente esistono, hanno indotto uno studioso come Alf Hiltebeitel7 a confutare punto per punto l'ipotesi di Marshall.
Il contesto al quale quest'ultimo studioso ha fatto riferimento non è il culto di Shiva, bensì quello della Dea, che, come è noto, è invocata e venerata come Mahishasuramardini, "colei che distrugge il demone-bufalo", la Dea splendidamente raffigurata dagli artisti Fallava nell'omonimo tempio rupestre di Mahabalipuram (Tamil Nadu).
Il bufalo è connesso sia con il demone Mahisha - di solito raffigurato con corpo umano e volto sia di uomo sia di bufalo - sia con la figura di Yama, il Dio dei morti, di cui è la cavalcatura, mentre la tigre, come è noto, è la cavalcatura e l'aspetto ferino della Dea-.
Hiltebeitel osserva che Mahisha non è solo la vittima della Dea, ma ne è la controparte maschile, giungendo a concludere che molto probabilmente il mito di Mahishasuramardini non è altro che "una raffigurazione dinamica dell'azione reciproca e della finale riunione della prakriti e del purusha"*, della Dea e dello Spirito maschile.
La Dea, chiamata anche Mahishi, "la possente", e il bufalo, il cui nome è Mahisha, "il possente", come aveva già suggerito Madeleine Biardeau, potrebbero forse rappresentare "le due facce di un medesimo principio soprannaturale".


Devo dire che le considerazioni di Biardeau e Hiltebeitel mi sembrano pertinenti e anche convincenti.
Ma, quale che sia la definitiva interpretazione del celebre sigillo di Mohenjo Darò, due aspetti rimangono indiscutibili: il carattere itifallico, che non può non farci pensare all'importanza che riveste l'accumulo di energia sessuale nella pratica dell'ascesi e, in particolare, dello yoga tantrico, e la postura, testimonianza inequivocabile che certe tecniche di autocontrollo fisico e mentale appartengono alle più autentiche radici della cultura dell'India.
L'arrivo degli Arya in Panjab relegò per un certo periodo di tempo nell'ombra le credenze, le idee e le pratiche religiose delle popolazioni, forse di razza mediterranea, affini agli attuali Dravida, che avevano dato vita alla grande civiltà urbana di Harappa e di Mohenjo Darò; ma è sufficiente attendere l'epoca delle Upanishad perché i "silenziosi" delle selve riprendano a far sentire la loro voce, recando il proprio originale e sostanziale contributo al formarsi della cultura religiosa dell'India brahmanica; un contributo che sottolinea l'importanza della disciplina interiore, del controllo del corpo e della mente, ma anche del benessere fisico e psichico: in una parola, della pratica dello yoga, per chiunque si proponga di percorrere un cammino spirituale capace di disvelargli la sua vera natura.

Stefano Piano, titolare della Cattedra di Indologia nell'Università di Torino e autore di numerose pubblicazioni, ha compiuto molti viaggi di studio in India, per integrare i dati delle fonti con una documentazione di prima mano sugli aspetti viventi della cultura tradizionale hindu.