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Solve et coagula

Shaykh ‘Abd al-Wahid Pallavicini

Il titolo di questo convegno mi ha subito ricordato l’adagio alchemico solve et coagula, e cioè l’invito a dissolvere il corporeo e a consolidare il volatile, sapendo che «ciò che sta sopra riflette ciò che sta sotto» e viceversa, ma il sottotitolo che parla di un «naufragio della natura» mi sembra voglia riferirsi a una vera e propria «inversione» di valori che oggi vede come «naturale» ciò che è propriamente «sovrannaturale», termine che René Guénon considerava essere l’unico possibile sinonimo per rendere il significato della parola «metafisico».
Eccoci dunque condannati da quello che qui si chiama «il pensiero della modernità secolarizzata e tecnicizzata» a una finalità corporea e sensoriale scevra di ogni vocazione a quella trascendenza della quale finiamo per ignorare la presenza immanente anche in ogni uomo che è pur «fatto a immagine e somiglianza di Dio» come dice il Genesi, o ancora, come dice una tradizione profetica ‘ala suratihi, secondo la Sua forma.
Ecco dunque intervenire il «sacro» nel suo aspetto rivelato proprio alla tradizione abramitica e in particolare nella sua ultima espressione, quella islamica, a far «la parte del leone» come dice un «Buon Vecchio», non solamente come «mito», ma anche come «rito» che, per rifarsi ancora alle parole dello Shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya del quale mi onoro di portare il primo nome islamico, rappresenta un vero e proprio «simbolo agito».
È il simbolum che ricollega verticalmente proprio il mondo fisico a quello meta-fisico, così come la religione «rilega» (da religo ) l’uomo al suo creatore, a differenza del diabolus che, nella dimensione orizzontale della croce spazio-temporale nella quale siamo tutti collocati, è «colui che divide» nell’appiattimento indefinito di una «destra» mentale e di una «sinistra» sentimentale.
Ecco dunque apparire le conseguenze estreme di queste inversioni o deviazioni dall’origine cruciale e centrale, quelle stesse che trovano la loro espressione in un laicismo assolutista da un lato e in un fanatismo religioso dall’altro, entrambi così ben rappresentati dagli attuali opposti di un buonismo cosiddetto cristiano e di un integralismo cosiddetto islamico, i quali hanno in comune solamente l’esclusivismo confessionale che costituisce la fonte di ogni vero e proprio terrorismo.
Se dovessimo giungere a una sintesi da questa analisi e cercare di trovare un antidoto ai mali di questo nostro secolo, potremmo dire di avere proprio qui un «campione» degli elementi per individuare un vaccino contro i nuovi virus, nella presenza dei rappresentanti delle varie rivelazioni, dalla prima, l’Induismo, all’ultima, l’Islam, e ugualmente le presenze delle manifestazioni filosofiche, culturali e istituzionali, entrambe collocate nella dimensione della verticalità, dall’alto in basso.
Verso l’alto nelle possibilità iniziatiche contenute nell’aspetto interiore di ogni tradizione, siano questi gli ashram indù o buddisti, gli ebrei cabalisti, gli esicasti cristiani o i sufi musulmani, coloro che abbiano potuto mantenere ancora oggi il retaggio di quella Tradizione primordiale che li unisce nel rispetto dell’ortodossia rituale garantita dalla partecipazione sincera e vissuta alla prescritta pratica religiosa.
Verso il basso, e cioè nel poter affondare nella terra sacra, e pertanto celeste, l’asta verticale di un corpo spirituale, laddove secolarizzazione e tecnicismo ce lo permettano ancora, ricettacolo dei «semi di un’Arca» – e non di quei «semi del Verbo» nei quali si vorrebbe comprendere persino l’Islam, ultima Rivelazione – che possa farci transitare vittoriosamente verso un nuovo ciclo.
Queste le risposte che potrebbe fornire il Sacro, e il condizionale è d’obbligo, se perfino nella lettera d’invito ci si domanda «se» ce le fornisce, in quanto l’attuazione di certi progetti, se è vero che le azioni valgono per le intenzioni, dipendono dall’integrità delle persone che devono metterle in atto, integrità che è il giusto mezzo fra tentazioni di integralismo e tentativi di integrazione.
All’integralismo, che abbiamo riconosciuto essere conseguenza dell’esclusivismo confessionale, noi dovremmo poter opporre il riconoscimento reciproco e, per quanto possibile, ufficiale, della validità salvifica delle religioni ortodosse, soprattutto da parte di quella sola istituzione presente nel monoteismo abramico, la Chiesa cattolica, che ritrovasse così il significato della vera e propria Universalità espressa dal suo stesso nome.
All’integrazione dobbiamo opporre il diritto di essere diversi, diritto di poter essere ancora veramente religiosi, in un mondo dove la presunta «democrazia» rinuncia alla propria vocazione di rappresentare gli interessi di ogni uomo, sfociando in quella globalizzazione che finisce per ostacolare la sopravvivenza di ogni possibile minoranza, inclusa quella di una vera «élite intellettuale».
Infatti questa élite dovrà essere costituita da uomini che siano rimasti fedeli alla spiritualità contenuta nella loro identità sacrale, e contemporaneamente fedeli alla ricerca della verità assoluta in seno alle manifestazioni relative delle loro collocazioni rivelate (termini significativamente composti in italiano dalle stesse lettere). Questi stessi uomini dovranno prepararsi a riconoscere alla fine dei tempi l’«avvento» di colui che gli indù chiamano Kalki avatar , i buddhisti Buddha Maytreya, gli ebrei «il Messia» e cristiani e musulmani, seppure con nomi e accezioni diverse, il Cristo della seconda venuta, e saranno ancora questi stessi uomini che contemporaneamente riusciranno, suo tramite, ad approssimarsi già in vita alla Conoscenza di quella Assoluta Verità che è Iddio solo, l’Uno, Huwa al-Haqq, Lui è la Verità, cosa che costituisce lo scopo ultimo e unico della vita umana sulla Terra Santa.